La tessitura è uno dei mestieri più antichi, diffuso in Versilia, soprattutto nella zona montana dove i telai erano numerosi in ogni paese e spesso condivisi.
Si hanno notizia nei documenti storici di coltivazioni di gelso e dell’allevamento dei bachi da seta, anche se i filati più diffusi erano quelli di canapa o lana.
La canapa, utilizzata per lenzuola, indumenti e asciugamani, doveva subire una lunga macerazione: i fusti sottili della pianta erano posti nell’acqua dei fiumi o in pozze pubbliche. Una volta essiccata era pestata con la sciabola sulla gramola per sfibrare lo stelo e ammorbidire la fibra e infine pettinata.
La lana era invece ricavata dalle pecore, lavata e cardata per aprire le fibre.
Ottenere il filato, sia di lana che di canapa, era un processo assai lungo che soltanto l’esperienza e la maestria delle donne poteva rendere veloce e semplice.
La filatura era un processo molto lungo e complicato, che soltanto l’esperienza e la maestria potevano rendere facile e veloce. Il filato nasceva infatti tra le dita inumidite di saliva che prillavano la fibra, facendo ruotare il fuso a cui si attorcigliava il filo.
Un’arte che si tramandava da una generazione all’altra e si imparava spesso nelle sere di veglio.
Con la lavorazione a telaio si realizzavano lenzuola di canapa e coperte di lana. Alcune tessandore della Versilia, come le sorelle Barberi di San Bartolomeo (Pietrasanta) o Angiolina Vannucci di Levigliani, sono passate alla storia per aver realizzato opere tessili meravigliose e aver ideato alcuni disegni tipici della Versilia come il, “colonnino” o la “rosa stella”.
Armare il telaio era un lavoro lungo che durava giorni e prevedeva prima la preparazione dell’ordito con l’utilizzo dell’orditoio, con il quale si stabiliva la base e la larghezza del telo da realizzare. La tessitrice sollevando e abbassando i licci del telaio con i piedi nudi sui pedali, realizzava la trama facendola passare il filo lanciando la “navetta” tra i fili dell’ordito.
Viale L. Amadei, 230