Il metodo più antico per pigiare l’uva era di "treppicalla" con i piedi scalzi e i pantaloni riculati cioè ripiegati. Un sistema apparentemente divertente, ma che richiedeva invece forza e resistenza. Col tempo si passò all’uso della macchina per macinare l’uva.
Una volta terminato il processo di fermentazione delle vinacce e ottenuto così il vino novello, si mette in atto un’usanza dettata dalla necessità di non sprecare niente: si strizzano le vinacce tolte dal tino dopo la svinatura. In questo modo, si ottiene il “vino di strizzo”, quello che si beve tutti i giorni, per poi vendere quello “bono”. Questa operazione viene fatta usando un torchio adattato alla bigoncia e noto come “strizzatoglio”. (IMMAGINE)
Al termine di questa ulteriore strizzatura, spesso si aggiunge e si strizza un pò di uva lasciata apposta e si lascia fermentare di nuovo. Dopo qualche giorno lo “strizzo” è pronto e di solito è anche gradevole.
Altri preferiscono fare il “picciolo” procedimento meno faticoso, che consiste nell’aggiungere acqua alle vinacce, per poi rimescolare il tutto e lasciarlo riposare per qualche giorno in modo da ottenere un vinello chiaro, leggero ma gradevole soprattutto per pasteggiare o come dissetante durante l’afa estiva.
Viale L. Amadei, 230